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Intervista a...

alcune interviste ad autori teatrali curate per noi da amici del GTTempo

Alfredo BALDUCCI
a cura di John More

Intervista Esclusiva di John More all’autore teatrale Alfredo Balducci,
che ci svela alcuni importanti trucchi del mestiere


“Lo scrittore e il testo teatrale”

John More: Iniziamo spiegando ai lettori di JMIAS.com qual è il ruolo dello scrittore teatrale nella nostra società... naturalmente se non hai nulla in contrario.

Alfredo Balducci: Naturalmente no. Sono felice di trattare questo argomento. Tutta la mia vita è stata dedicata al teatro che ha rappresentato il bilancio della mia esistenza. Risultato: una montagna di copioni e diverse rappresentazioni, alcune anche molto importanti, non però come avrei desiderato e, a giudizio di critici e spettatori, avrei meritato. Ma non si può lottare da soli contro tendenze e abitudini.
Oggi i palcoscenici italiani sono poco disposti, anzi pochissimo, a ospitare autori italiani contemporanei. Le solite ragioni: i costi sono alti e non si può rischiare con nomi sconosciuti (o quasi). E allora via con i classici, le riduzioni teatrali di romanzi famosi, qualche autore straniero best-seller al suo paese, le capriole dei registi o degli attori per mettere in scena uno spettacolo purchessia.
Anche all’estero esistono gli stessi problemi, tuttavia la figura dell’autore contemporaneo non è stata cancellata, com’è accaduto in Italia, e neppure confinata nell’ambito di piccole sale di cui nessuno si accorge, o abbandonata ai gruppi amatoriali.
L’impossibilità di venire rappresentati decorosamente ha sfoltito le fila degli autori di teatro, molti dei quali non hanno osato muoversi dal campo editoriale in cui già si trovavano, mentre altri si sono dedicati al cinema o alla televisione. C’è chi ha resistito a questo sfacelo. In pochi per la verità, anzi pochissimi. Io sono uno di quei pochi (l’ultimo lavoro che ho scritto: “Un caso difficile” - senza alcuna speranza di rappresentazione - risale a qualche settimana fa).
Perché tanta fedeltà a un mestiere così avaro di gratificazioni? Probabilmente perché scrivere commedie è una cosa che so fare meglio di altre e non mi andava di dovere smettere, e poi perché ho sempre pensato che la crisi attuale sarebbe stata passeggera, una delle tante crisi attraversate dal teatro nella sua vita millenaria. Non tenevo conto, però, che tra una crisi e la sua soluzione, nei vari paesi, sono spesso trascorsi alcuni secoli. Il che mette fuori gioco ogni mia residua speranza.

J.M.: La tua analisi delle attuali condizioni del teatro in Italia, è molto pessimistica. Davvero un autore di teatro ha perduto ogni possibilità di sperare?

A.B: Al contrario, “spes ultima dea” (in latino: “la speranza non muore mai” - NDR), vogliamo rinunciare anche a quella? Io la speranza ho cercato di aiutarla come ho potuto, inondando di copioni teatri, registi e attori, prima di tutto. Poi esercitando una rigorosa economia sui lavori che andavo scrivendo: niente cambiamenti di ambiente, ma scena fissa per l’intero lavoro, riduzione all’osso delle presenze in palcoscenico, quattro o cinque personaggi al massimo, preferibilmente solo due o addirittura monologhi.

J.M.: Quali sono le prime tecniche fondamentali che un aspirante scrittore dovrebbe imparare prima di affrontare il mondo letterario?

A.B.: Sono tecniche derivanti soprattutto da un’assenza di presunzione. L’umiltà è la fondamentale caratteristica di un nuovo autore.

J.M.: Che cos’è un testo teatrale?

A.B.: Per parlare di un testo teatrale bisogna parlare del dialogo. Perché il dialogo nell'opera drammatica è l'opera drammatica stessa, che non è concepibile senza la presenza del dialogo: elemento principale della storia detta, gridata o sussurrata da parte di due attori sulle tavole di un palcoscenico, o da un qualunque altro spazio usato per rappresentazioni. Si può fare spettacolo anche senza dialogo: con scenografie, musiche e canzoni, azioni mimiche (anche se in questo caso non è escluso un accenno di colloquio per mezzo delle espressioni del viso e dei gesti). Si può fare teatro anche con un monologo, perché in questo caso c'è sempre la presenza immaginaria di un interlocutore muto che può essere la propria coscienza, il proprio passato, il proprio divenire o altro. Ma noi parliamo dell'opera drammatica che nasce quando l'attore incomincia a scambiare opinioni con il coro, e continua con Eschilo che mette in scena il secondo personaggio, e va avanti con Sofocle che mette in scena anche il terzo. Di qui nasce tutto il teatro che conosciamo, dai classici greci ai testi moderni, che utilizzano il dialogo per narrarci le loro vicende tristi o liete che siano, per commentare le stesse alla luce della loro morale o dei loro principi etici e religiosi.

J.M.: Come nasce una storia per un testo teatrale? E come si sceglie l’argomento per cui scrivere?

A.B.: Un testo teatrale nasce dall’esame della società in cui viviamo, dall’analisi della sua storia, delle sue idee, dei suoi costumi. Dall’indignazione che ci riempie lo spettacolo delle nostre cattiverie, delle nostre contraddizioni, delle nostre viltà, e, nello stesso tempo, delle nostre azioni meritorie e trascurate, delle nostre virtù umiliate, dei nostri eroismi dimenticati.

J.M.: Perché si scrive un testo? Quali sono le vere ragioni? Chi scrive vuole trasmettere un messaggio alla nostra società oppure vuole solo raccontare?

A.B.: Un’opera teatrale è sempre un grido di protesta, a volte squillante, altre volte di tono moderato, ora portato da personaggi tragici, ora accennato dai comici di uno spettacolo satirico. Così è stato fin dalla nascita del teatro, da Eschilo ad Aristofane, da Shakespeare a Cecov, da Pirandello a Brecht.

J.M.: Che cosa significa scrivere?

A.B.: E’ un importante atto di creazione.

J.M.: Da dove nasce la passione dello scrittore?

A.B.: Davanti ai libri di una biblioteca.

J.M.: Quali sono il posto e l’atmosfera migliore per scrivere?

A.B.: A casa propria nel silenzio.

J.M.: Come si crea una maggiore passione per l’arte dello scrivere? Chi ha in sé questa passione, come può coltivarla per vederla crescere?

A.B.: La passione si crea e si coltiva con lo studio dei capolavori dei maestri.

J.M.: A che cosa pensa uno scrittore prima di cominciare a scrivere? Da dove vengono le ispirazioni?

A.B.: Le ispirazioni vengono per caso. Su queste bisogna lavorare.

J.M.: Come si costruiscono i personaggi di un testo teatrale e i dialoghi fra di essi?

A.B.: Spesso i personaggi dei miei lavori sono proiezioni di me stesso in vicende che vorrei o potrei affrontare. Non rinnego neppure i personaggi negativi, ottenuti violentando il mio carattere, perché la loro esistenza mi permette di effettuare utili contrapposizioni. Del resto, non potrebbe che essere così. Quando scrivo un lavoro sono abituato a portare con me a lungo i suoi protagonisti, a vivere con loro le esistenze che io ho loro imposto. Conto sul vostro silenzio, però. Non vorrei che questa confessione giungesse alle orecchie di mia moglie, specialmente per quanto riguarda un paio di personaggi femminili che mi stanno particolarmente a cuore.

J.M.: Parliamo della struttura del testo teatrale… sempre che questa tecnica non costituisca un segreto che non vuoi rivelare.

A.B.: Non c’è nessun segreto da custodire. In ogni caso sarebbe un segreto di Pulcinella perché basterebbe leggere un mio lavoro per rendersene conto e impadronirsi del meccanismo. La tecnica che sfrutto si riduce modestamente ad alcuni accorgimenti che, a mio parere, sono fondamentali. Prima di tutto il dialogo. Deve essere scarno e asciutto, nei limiti del possibile, sempre controllato da una recitazione interiore che assicuri tensione, teatralità e assenza di cadute. Brecht ci ha insegnato che a teatro si può dire di tutto, dalla poesia alla filosofia, dalla storia alla cronaca spicciola. Una sola cosa è vietata: annoiare il pubblico. Bisogna divertire lo spettatore, e questo non si ottiene soltanto facendolo ridere, ma soprattutto facendolo pensare e interessare a una vicenda. Per legare il pubblico alla storia che raccontavo ho sempre cercato di farlo partecipare con l’aiuto di una trovata inserita nello spettacolo. Un accorgimento che ha sempre funzionato. Vogliamo controllare?
Incominciamo con uno dei primi lavori che ho scritto, I DADI E L’ARCHIBUGIO: due compagnie di ventura già alleate in un precedente fatto d’armi, non se la sentono ora di scannarsi l’una contro l’altra, nonostante che i rispettivi comandanti, per ragioni personali, sollecitino lo scontro.
IL TRIANGOLO DEL LEONE: una storia di adulterio fra leoni di uno zoo.
L’EQUIPAGGIO DELLA ‘ZATTERA’: un mercante di armi alla ricerca di rivoluzioni e conflitti nei quali esitare la propria merce.
DON GIOVANNI AL ROGO: un Don Giovanni che disprezza le donne e le seduce per punirle.
UN CIELO DI CAVALLETTE: una costruzione drammatica intorno a un delitto che non è avvenuto in un paese che non c’è.
IL VENTO E I GIORNI: uno spettacolo teatrale davanti a un pubblico che non esiste.
LA NUOVA ISOLA: l’equivoco di un santo che battezza dei pinguini scambiandoli per uomini.
UN’IPOTESI SU JEAN JACQUES ROUSSEAU: il filosofo viene perseguitato per le Memorie che vuole pubblicare e non per la sua attività rivoluzionaria.
L’EREDITA’: il figlio di un famoso illusionista che, alla morte del padre, non riesce a ripetere i suoi numeri.
INCONTRO AL CARROBBIO: entrare nella personalità di un altro può essere comodo fino a un certo punto.
MA E’ DAVVERO UN LIBERTINO? bisogna scegliere fra l’innocente fidanzata e l’amante sensuale.
AMILCARE RICOTTI CAPOCOMICO: una scassata compagnia di attori viene finalmente ingaggiata per recitare a Milano, ma stanno per scoppiare le “Cinque Giornate”.
LABIRINTO: un incontro casuale fra due sconosciuti. Quale è la loro storia e da che parte sta la verità?
IL MARITO IDEALE: Un’illusione che aiuta a vivere. Ma è veramente un’illusione?
ELETTRA, CON IL VENTO: “L’Orestea” rivissuta ai nostri giorni.
GRANDANGOLO: Una storia racchiusa in scatole cinesi, l’una dentro l’altra.
LUNGA E PROFONDA LA NOTTE: la Rivoluzione Francese è scoppiata ai nostri giorni.
UNA PRIMULA A ELSINOR: la vicenda di Amleto vista attraverso gli occhi di una servetta del castello che s’è segretamente e perdutamente innamorata di lui.
Vogliamo fermarci qui? Mi pare di aver dato numerosi esempi del mio metodo di scrittura. Dovrei anche aggiungere qualcosa sul contenuto dei miei lavori, dove protagoniste sono le contraddizioni in cui viviamo, la denuncia di una società che sempre più si disinteressa dell’uomo, la critica rivolta ai nostri costumi. Ma queste sono idee personali che riguardano la propria coscienza e non hanno nulla a che fare con la drammaturgia.

J.M.: Quando e come si sceglie un titolo di un’opera teatrale?

A.B.: Di solito il titolo si dà a lavoro ultimato; e non è una cosa facile: a volte trovare un titolo adeguato è quasi più difficile che scrivere il lavoro. Deve essere sintetico, d’effetto e stimolante. Qualche volta viene nel corso della stesura dell’opera, ed è anche capitato (raramente, però) di trovarlo per primo; in questo caso può anche accadere che sia il titolo a condizionare l’intero lavoro.

J.M.: Qual è la differenza di un testo scritto per il palcoscenico, la radio ed un romanzo?

A.B.: L’utilizzazione di un testo avviene in un secondo tempo. Solo dopo la scrittura si potrà decidere se il testo è adatto per il palcoscenico, per la radio, o anche addirittura – semmai con qualche adattamento – per un romanzo.

J.M.: Ci sono delle tecniche particolari che possono aiutare un aspirante scrittore a migliorare il suo stile di scrivere?

A.B.: Come dicevo poco fa, l’unico esercizio da fare è quello di studiare i maestri ed impegnarsi a scrivere come “urge” dentro di noi.

J.M.: In che modo dovrebbe essere usata l’immaginazione di uno scrittore?

A.B.: Il solo pensiero che deve avere davanti a sé uno scrittore è quello di creare qualcosa di valido e di duraturo.

J.M.: Quanto è importante avere una buona memoria e una buona visualizzazione per questa attività?

A.B.: Un buon ricordo è di grande aiuto per chi scrive.

J.M.: Che cosa bisognerebbe fare per tenere la mente sempre allenata?

A.B.: Leggere di continuo ed imparare a memoria ciò che interessa.

J.M.: Che tipo di libri suggeriresti di leggere a un aspirante scrittore e perché?

A.B.: Libri satirici che affrontino la condizione dell’uomo sulla terra. Perché penso che l’ironia e la satira siano la migliore lente d’ingrandimento sulle vicissitudini umane e diano il giusto distacco dalla cruda verità all’artista creatore.

J.M.: In che modo si differenzia un “bravo scrittore” da uno “scrittore mediocre”?

A.B.: Solo dalla sua umiltà nello scrivere. Essa traspare sempre.

J.M.: Come si diventa “bravi scrittori”?

A.B.: Non tralasciando mai il lavoro e lo studio.

J.M.: E, in realtà, come si diventa scrittore professionista riuscendo anche a mantenersi economicamente solo con questa attività?

A.B.: Chi si preoccupa troppo del guadagno in termini economici è spesso portato a trascurare il proprio estro.

J.M.: Quali sono gli ostacoli iniziali?

A.B.: La non curanza di una critica severa sul proprio lavoro può portare spesso ad una sottovalutazione dei propri difetti (inevitabili, data l’inesperienza). E questo può condurre su strade sbagliate, o addirittura vicoli ciechi.

J.M.: Che approccio dovrebbe avere uno scrittore col mondo del lavoro?

A.B.: Convincersi che la propria attività, anche se privilegiata, appartiene pur sempre al lavoro umano.

J.M.: E che cosa dovrebbe fare per entrare in contatto con gli editori?

A.B.: Provando e riprovando, senza scoraggiarsi per i rifiuti ottenuti.
Su questo argomento ho scritto una commedia: “Il pasto dello sciacallo”. Tu sei venuto a sentirne la lettura, ricordi?

J.M.: Si, mi ricordo… Come arriva un testo teatrale sugli scaffali delle librerie?

A.B.: E’ raro che ci arrivi; e quando capita è un onore riservato a pochi grandi del proprio secolo. L’ambiente principe per un testo teatrale è, appunto, il palcoscenico: lo scaffale della libreria è solo un’ulteriore conferma di un successo già decretato dalle scene a quel testo o al suo autore.

J.M.: Quali sono i profitti di uno scrittore?

A.B.: Per quanto riguarda la messa in scena è il dieci per cento lordo dell’incasso netto del teatro. La metà se c’è di mezzo un traduttore.

J.M.: Come funzionano il “Copyright” e i “diritti d’autore”?

A.B.: Sono gli strumenti per garantire – per un certo lasso di tempo, variabile da Paese a Paese – il compenso all’autore di un’opera teatrale.

J.M.: Per migliorare le proprie tecniche creative di scrittore ci sono corsi, conferenze, seminari…

A.B.: Naturalmente: ce ne sono tanti; e tutto può aiutare e servire all’aspirante scrittore per migliorarsi e indagare dentro se stesso.

J.M.: Potresti elencare tre tipi di esercizi pratici e utili per uno scrittore?

A.B.: Interrompere a metà una scena e incominciare a scriverne un’altra; prenderne una conosciuta e riscriverla a proprio modo; cambiare i caratteri dei personaggi di un’altra scena ancora. In buona sostanza, esercitarsi a fare e disfare.

J.M.: Quali altri consigli daresti a un giovane ragazzo che vorrebbe intraprendere per la prima volta la carriera professionale di scrittore?

A.B.: A un giovane che in Italia intendesse seguire questa strada consiglierei la massima prudenza, di valutare bene i lati negativi, il duro lavoro da compiere in silenzio e in solitudine, puntando verso un successo che quasi sicuramente non arriverà mai. Se, nonostante tutto, questo giovane fosse deciso a continuare il cammino, vorrebbe dire che non è stato lui a scegliere questo mestiere, ma che è stato scelto. E allora non mi resta che dargli il benvenuto nell’esigua schiera dei sopravvissuti, augurandogli di cuore buon lavoro.

J.M.: Che cosa suggeriresti a un giovane scrittore al primo colloquio di lavoro con un editore?

A.B.: Ascoltare attentamente. Per cercare di “sbagliare” di meno alla prossima occasione.

J.M.: E che cosa ti senti di dire a un giovane scrittore ai primi anni di esperienze professionali?

A.B.: Posso ripetere quello che ho già detto, perché penso che sia la cosa più importante: deve studiare i maestri, ascoltarsi dentro, nel profondo, e scrivere con umiltà. Sono i tre passaggi fondamentali di qualunque espressione artistica: introiezione degli stimoli provenienti dall’esterno, elaborazione interna ed esternazione della creazione.


“Esperienze professionali”

John More: Raccontami delle tue esperienze professionali come scrittore…

Alfredo Balducci: I primi lavori teatrali completi li ho scritti a Milano, alla luce delle esperienze che avevo fatto nelle platee cittadine. Qui ho imparato la tecnica necessaria per creare dei personaggi e calarli in una trama, con una forma accettabile per il pubblico. Ho ricevuto in quel periodo gli utili consigli di un critico teatrale e poeta oggi purtroppo scomparso, Roberto Rebora. Più tardi, un aiuto per la messa in scena dei miei lavori mi è venuto da un altro critico - regista, direttore dell’Accademia d’Arte drammatica di Roma, Ruggero Jacobbi, anche lui prematuramente mancato.

J.M.: Moltissimi lavori teatrali che tu hai scritto sono stati rappresentati: al Piccolo Teatro di Milano, al Teatro Sistina di Roma, al Teatro Stabile di Trieste…

A.B.: Queste occasioni ci sono state, purtroppo a esse non è seguita una continuità, nonostante l’approvazione del pubblico e della critica. Niente si accumula sul tuo conto e ogni volta bisogna ricominciare da capo.
Fra queste occasioni devo ricordare la rappresentazione del Piccolo Teatro di Milano (L’equipaggio della ‘Zattera’), quella del Teatro Stabile di Trieste (I dadi e l’archibugio), del Teatro Sistina di Roma (L’eredità), della Compagnia del San Genesio di Roma (Il vento e i giorni e La nuova isola), della Compagnia Milanese (Incontro al Carrobbio e Amilcare Ricotti capocomico), del Teatro Filodrammatici di Milano (Labirinto) e altre ancora.

J.M.: Hai ricevuto sette premi teatrali nazionali e uno internazionale…

A.B.: Ho partecipato ai principali concorsi teatrali banditi in giro: ne ho vinti otto, sette nazionali e uno internazionale. E precisamente: Riccione, Pirandello (Agrigento); I.D.I., Anticoli Corrado, Giuseppe Fava, Pozzale, Luigi Antonelli, Pirandello - Brecht project di New York con “Lunaria” che è stato messo in scena a New York, unico mio testo vincente rappresentato. Gli altri che sono giunti in palcoscenico ci sono arrivati grazie all’interessamento di amici e non certo per il premio ricevuto. Basta pensare a “Don Giovanni al rogo” premio dell’Istituto del Dramma Italiano assegnato da una Giuria presieduta dal Premio Nobel Salvatore Quasimodo, nel corso di una cerimonia ufficiale a Saint Vincent, alla presenza di numerosissimi attori, registi, critici, direttori di teatro. Testo pubblicato e tradotto in inglese e francese, del quale il critico Ruggero Jacobbi scriveva: “di singolare novità di concezione e di un’alta dignità letteraria… alcune scene sono tra le migliori del teatro italiano del nostro tempo”. Ebbene, questo lavoro non ha mai trovato la via del palcoscenico.

J.M.: E le tue collaborazioni con le televisioni, radio...

A.B.: Ho collaborato con la Rai – Tv italiana, la Radio della Iugoslavia, la Radio e la Televisione Svizzera, Tele Montecarlo e con la Radio Greca.

J.M.: Molti critici di rilievo hanno scritto delle tue opere...

A.B.: I maggiori critici italiani hanno scritto dei miei lavori (Jacobbi, De Monticelli, Possenti, Terron, De Chiara, Prosperi e altri). Roberto Rebora ha pubblicato su di me una monografia critica apparsa nella “Rivista Italiana di Drammaturgia”.

J.M.: Qual è il tema più importante che affronti nei tuoi testi teatrali?

A.B.: Soldato, dopo la campagna di Russia, ho passato con mezzi di fortuna la Linea Gotica, mi sono arruolato nell’Esercito Italiano di Liberazione, partecipando alla cacciata dei nazi - fascisti. Anche per questi motivi personali (in totale ho fatto sei anni di sevizio militare!) l’antimilitarismo è uno dei primi temi che ho affrontato nel mio teatro degli anni Cinquanta. Seguono successivamente testi d’impegno su vari fronti sociali.

J.M.: Precedentemente abbiamo parlato in generale dell’ispirazione dello “scrittore”, ma tu personalmente a che cosa ti ispiri quando scrivi i tuoi testi? E che cosa provi dentro di te in quei momenti?

A.B.: Aspetto con gioia che un’idea maturi in me. Non so dove, non so come, né quando.

J.M.: Perché questa scelta?

A.B.: Perché non so comandare alle idee. Vengono assolutamente per caso. Il mio lavoro comincia dopo. Elaborarle in forma di testi da recitare.

J.M.: Ti è mai capitato di avere ispirazioni notturne, pensare di alzarti per scriverle ma poi decidere di continuare a dormire con la speranza di ricordarle la mattina dopo e al tuo risveglio averle perse per sempre?

A.B.: Mi è accaduto spesso. Guai a non alzarmi e a non appuntare l’idea: rischierei di dimenticare tutto.

J.M.: Qual è la cosa che ti stimola di più nello scrivere?

A.B.: Il conflitto fra i personaggi. Nella costruzione di un dialogo è indispensabile tenere presente la regola principale che presiede il colloquio teatrale: il conflitto. "Il teatro è conflitto" si dice di solito, e mai come in questo caso è possibile esprimere una verità così assoluta. Si può arrivare a dire che non esiste una sola battuta teatrale valida che non abbia al suo interno tracce di una qualsiasi contrapposizione.
Non è necessario uno scontro violento fra i protagonisti del dialogo. Nel "Romeo e Giulietta" di Shakespeare, per esempio, il conflitto si stende lieve sotto il colloquio poetico dei due innamorati, diventa invece doloroso quando accenna all'odio che separa le famiglie Montecchi e Capuleti, o quando si tratta di trasgredire la volontà paterna o la morale corrente, mentre nell' "Otello", il sospetto e il furore cieco di un uomo che si crede ingannato devono lottare contro la passione amorosa per la propria moglie. Nell' "Edipo re" il protagonista combatte contro l'orrenda verità che nasce a poco a poco e si sviluppa nella propria coscienza, attraverso le testimonianze che si succedono. La Nora di Ibsen in "Casa di bambola" contrasta con la mentalità corrente per la propria libera realizzazione, mentre nel "Così è se vi pare" di Pirandello la contrapposizione si svolge entro e contro una società frivola, meschina e spietata.
Non c'è teatro senza dialogo conflittuale, e questo dalle origini fino ai nostri giorni. Una legge fondamentale che attraversa tutte le epoche e tutti gli stili, dal dramma epico a quello pastorale, dai lazzi delle maschere della commedia dell'arte alle proposte della scena sperimentale.
Rispondendo a questa domanda mi accorgo di non aver detto nulla di nuovo, ma di aver ripetuto concetti e principi noti fino alla nausea a coloro che si occupano di teatro. Credo tuttavia che non siano stati inutili, a giudicare da molti testi, specialmente di giovani, che si accostano al palcoscenico con l'intenzione di poterci saltar sopra. Non si può andare per mare senza rispettare le fondamentali nozioni della navigazione, così non si può far teatro senza seguire le leggi che regolano tale genere di spettacolo. Ogni tentativo di portare una rivoluzione nel suo interno, in nome di una maggiore libertà espressiva è destinato a fallire miseramente se non si accettano le regole fondamentali che presiedono alla finzione chiamata teatro.
Niente di nuovo nelle nostre parole, dunque, come d'altronde dichiarava Molière nel "Don Giovanni": "Noi diciamo sempre le stesse cose perché le cose sono sempre le stesse". Rassegnamoci a queste ripetizioni. Il giorno in cui non serviranno più sarà un giorno felice per tutti coloro che scrivono, interpretano, ascoltano un testo teatrale.

J.M.: Di solito come nasce il tuo processo creativo fra immagine e parola? E come si evolvono insieme?

A.B.: Prima ho parlato dell’importanza assoluta del dialogo nell’opera teatrale; e ho sottolineato come esso sia l’essenza stessa della drammaturgia, di come l’una non possa sussistere senza l’altro, ma nell'affrontare il problema del dialogo non possiamo naturalmente trascurare quello del linguaggio, che ne è parte sostanziale. Qui non ci sono consigli da dare, cioè, non ci sono consigli che possano valere per tutti. In genere possiamo dire che il linguaggio nasce con l'idea stessa del dramma, con il carattere dei personaggi che in esso dovranno vivere. Proprio dalla loro natura nascerà l'incontro - scontro che illuminerà l'intera vicenda.
Facciamo qualche esempio concreto. Viviamo nella nostra epoca e vorremmo esprimerci in modo moderno e comprensibile da tutti. Un obiettivo facile da raggiungere, almeno in apparenza. Chi ci vieta di registrare i dialoghi veri che incontriamo nella nostra giornata al caffè, per strada, in ufficio, dialoghi costruiti con linguaggio "vero", "parlato", e quindi immediatamente percepibili da tutti? Questo sistema, però, ci riserverebbe un'amara sorpresa, perché in questo modo avremo sì raccolto una serie di dialoghi, ma non un solo dialogo teatrale degno di essere proposto a un pubblico di ascoltatori. Sul dialogo preso dal vivo, in altre parole, deve intervenire l'autore drammatico per renderlo teatrale, per dargli cioè il "taglio" necessario che permetta a un attore di interpretarlo e a un pubblico di ascoltarlo.
Il verismo a teatro come in letteratura esiste, ed è stato in grado di creare opere pregevolissime, addirittura dei capolavori, ma sarebbe un errore pensare che l'autore abbia trasportato meccanicamente nel suo lavoro il "vero" raccolto intorno a lui. Una sapiente opera di trasfigurazione ha reso quel "vero" creazione autentica dell'autore, e non del bar, della strada, dell'ufficio, sollevandolo dalla piatta banalità per trasformarlo in uno strumento idoneo per comunicare emozioni.
Nulla a teatro è più falso della verità riprodotta con esattezza. Un vero ubriaco in scena non può che suscitare noia e disgusto, mentre un attore che recita la parte dell'ubriaco è gradito e convincente.

J.M.: Dopo che tu hai scritto i testi di un’opera teatrale o parte di essi, come li revisioni prima che vengano messi in scena?

A.B.: Come regola generale cerco di fare in modo che i miei testi non abbiano bisogno di revisioni all’atto della messa in scena, ma tutto è sempre possibile.

J.M.: Quali dei tuoi testi sono stati tradotti in lingua inglese?

A.B: Due dei miei testi sono stati tradotti in inglese, ed ambedue da Hugh Barty King: “Don Giovanni al rogo” (in inglese “Don Juan in flames”) e “I dadi e l’archibugio” (in inglese “Assault at arms lenght”). La prima è stata premiata dall’Istituto del Dramma Italiano, come ho accennato poco fa, mentre la seconda è andata in scena a Porthcurno, in Cornovaglia negli anni ’60, in una messinscena estiva all’aperto. Da questo testo è stata inoltre tratta una commedia musicale – Blunderbuss -, rappresentata a Londra una decina d’anni fa.
Sono stato poi tradotto in francese, inglese, spagnolo, sloveno, ceco, russo, greco, romeno e serbocroato.

J.M.: Qual è il pubblico a cui ti rivolgi in particolare?

A.B.: A tutti i pubblici che mostrino di gradire i miei lavori.

J.M.: Come recepisce il pubblico i tuoi testi?

A.B.: In modo positivo, almeno fino ad oggi.

J.M.: Quando hai cominciato a scrivere?

A.B.: Ho incominciato molto presto, ma si trattava più o meno di tentativi che spesso venivano abbandonati prima della fine.

J.M.: C'è stata qualche persona oppure uno o più eventi in particolare che ti hanno incoraggiato a cominciare a scrivere testi teatrali?

A. B.: Io sono nato a Livorno, una città che ha sempre ospitato compagnie di giro che presentavano il loro repertorio. Ho incominciato molto presto a frequentare le sale di spettacolo, a 12, 13 anni circa. Mio padre, appassionato di teatro, mi portava con sé, al vecchio Politeama specialmente, una sala che adesso non c’è più. Lì ho visto sfilare il repertorio di quegli anni e, se ben ricordo, cominciavo già a seguire con disagio, senza un preciso perché, le commedie del teatro borghese allora di moda. I classici invece mi entusiasmavano e di quelli conservo un vivo ricordo.
In età matura ho scelto di vivere a Milano per l’intensa vita teatrale che qui si svolgeva. Ho seguito con entusiasmo la sua ascesa e assistito con rammarico alla sua decadenza.

J.M.: In che modo la tua esperienza adolescenziale ha influenzato il tuo modo di scrivere?

A.B.: Moltissimo. La mia esperienza adolescenziale ha determinato in modo drastico e decisivo il mio modo di scrivere.

J.M.: Oggi come lo definiresti il “tuo stile” di scrivere?

A.B.: E’ un genere ironico – satirico, che però diventa epico nei lavori drammatici.

J.M.: Tornando indietro col tempo (all’inizio della tua carriera) e ripercorrendola fino ai giorni nostri, cosa pensi sia cambiato da allora nel “tuo stile” di scrivere?

A.B.: Non penso che sia cambiato molto né dal punto di vista degli intenti di stile, né delle finalità letterarie. E’ senz’altro cambiato (spero migliorato! – o, quantomeno, affinato) il risultato finale.

J.M.: Qual è stata la tua evoluzione professionale?

A.B.: Direi una normale progressione in linea col tempo che passa e le esperienze che, via via, ti formano e ti maturano.

J.M.: Chi sono i maestri e gli autori letterari che ti hanno maggiormente impressionato positivamente e aiutato a migliorarti professionalmente?

A.B.: Ci sono sicuramente alcune opere teatrali che, almeno per me, sono state illuminanti. Fra i miei molti maestri ricorderò Pirandello dei “Sei personaggi”, de “La patente” e di “Liolà” e Bertolt Brecht de “L’Opera da tre soldi”, de “Il cerchio di gesso del Caucaso” e de “La linea di condotta” che hanno inciso profondamente sul mio modo di affrontare la realtà che intendevo mettere sulla carta. Sull’esempio di Pirandello e di Cecov ho scritto anche racconti più o meno lunghi, al limite addirittura del romanzo, ma anche questa esperienza mi ha convinto della mia vera natura di scrittore di teatro.

J.M.: So che tu hai avuto contatti con molte Compagnie importanti, compreso il “Piccolo Teatro di Milano”…

A.B.: Al “Piccolo” di Milano hanno rappresentato “L’equipaggio della ‘Zattera’”, un testo antimilitarista che ha ricevuto da pubblico e critica apprezzamenti assai lusinghieri.

J.M.: Poco fa hai parlato di una montagna di copioni, vuoi essere più preciso? E a che cosa stai lavorando in questo periodo?

A.B.: La mia produzione si avvicina ormai alle 60 opere ed è destinata a crescere (l’anno scorso, per esempio, s’è arricchita di due lavori). La maggior parte è composta di opere in due tempi; ci sono una mezza dozzina di atti unici e due o tre monologhi.
Per semplificare la ricerca ho diviso i miei scritti nei tre settori relativi al loro contenuto: Il dramma e la storia; L’ironia e la satira; Lo specchio di dentro.
Ora sto scrivendo una commedia ironica: “Denominatore comune”: L’argomento è, come si dice oggi, “minimalista”: vivere una vita normale nel seno di una famiglia normale è il sogno di molti, ma non a tutti è concesso. A Enzo, il protagonista, non è possibile, per quanti sforzi faccia e nonostante il suo spirito di adattamento. E’ importante però continuare nei tentativi perché, anche se non sarà possibile risolvere il caso, si arriverà a scoprire certe verità fondamentali del vivere umano.


“Privatamente”

John More: Ritengo che ci sia molto da imparare dalle persone con una lunga esperienza e sono molto interessato a sapere di più sulla tua infanzia e adolescenza...

Alfredo Balducci: Un’infanzia ed un’adolescenza normale, né più né meno… forse meno che più.

J.M.: Nella tua vita hai visto passare diverse guerre, diverse generazioni… Come vedevi il mondo durante la tua giovane età e come lo vedi adesso?

A.B.: Come ti dicevo prima ho fatto sei anni di “naja”. E questa è un’esperienza importante, che ha segnato il mio modo di scrivere.

J.M.: Cos’è cambiato in tutti questi anni nella nostra società?

A.B.: C’è stato un gran cambiamento: per merito nostro dalla dittatura siamo passati alla libertà.

J.M.: Qual è, secondo te, l’età in cui i bambini iniziano ad essere influenzati dalla nostra società?

A.B.: Fin dalla prima età: è fuor di discussione.

J.M.: Da chi pensi che vengono influenzati i bambini e i giovani dei giorni nostri? E perché?

A.B.: Purtroppo dalla televisione. E’ una bambinaia comodissima e gratuita.

J.M.: Non pensi che in alcuni casi si stiano perdendo dei valori che prima sembravano essere molto più forti…

A.B.: Sono assolutamente d’accordo con te: c’è in atto una preoccupante perdita di valori.

J.M.: Secondo te, quali dovrebbero essere i “doveri” della scuola e della nostra società per aiutare ad “educare” i bambini e i giovani?

A.B.: Semplici e complessi allo stesso tempo: la scuola e la società hanno proprio il semplice e complesso compito di educare i bambini e i giovani di oggi per poter ritrovare domani degli uomini all’altezza di questo nome.

J.M.: E quelli dei genitori…

A.B.: Naturalmente è di lì che bisogna incominciare…

J.M.: So che è una domanda alla quale non è facile rispondere, ma secondo te, come si dovrebbe educare un giovane?

A.B.: Allo studio, alla pace e al rispetto per gli altri.

J.M.: Che messaggio indelebile vorresti lasciare ai giovani di oggi e a quelli delle generazioni future?

A.B.: Lascio i miei testi teatrali e spero che coloro che li leggeranno possano trarre da essi anche una sola piccola verità. E’ sufficiente.

J.M.: Quando ci siamo visti al “Teatro Libero” insieme a Lucio Morelli dei “Rabdomanti” (https://irabdomanti.altervista.org/) per la “lettura scenica” di uno dei tuoi testi, mi sono divertito, peccato che tu avevi il braccio rotto! Come stai adesso?

A.B.: Grazie per il giudizio sul mio testo e per il tuo interessamento. Ora sto bene, ma allora non smisi di lavorare. Per fortuna, nel duemila, si può scrivere al computer anche col braccio destro ingessato: in passato, a mano o con la macchina per scrivere sarebbe stato impossibile.

J.M.: Qual è il tuo rapporto con internet?

A.B.: E’ un “editore” democratico e liberale. Dà la possibilità di diffondere il proprio pensiero e le proprie opere in tutto il mondo a costi praticamente nulli. In altre epoche tutto ciò era assolutamente impensabile.
Io ho un sito (all’indirizzo www.alfredobalducci.it) che, oltre a contenere il mio curriculum, recensioni e saggi critici sui miei lavori, permette di leggere o prelevare molti dei miei testi.
Ora, caro John, se non hai altre domande, ti ringrazio e ti saluto.

J.M.: Anch’io ti saluto, ti ringrazio per la tua cordiale disponibilità e per i consigli che hai dato ai lettori di JMIAS.com

Intervista Esclusiva di John More
www.JMIAS.com

Alfredo Balducci

Manlio SANTANELLI
a cura di Pasquale Calvino

​

Dopo l’ uscita del bel volume di Manlio Santanelli: Teatro- Bulzoni Editore, chiediamo all’ autore, uno dei più grandi drammaturghi italiani viventi:


a) Dr. Santarelli mi può dare indicazioni sulla Sua biografia e produzione drammaturgica?

Sono nato a Napoli nel 1938. Dopo regolari studi classici ho conseguito la laurea in giurisprudenza. Ho lavorato presso la sede RAI di Napoli fino al 1980, anno in cui è andata in scena la mia prima commedia, “Uscita di emergenza”. Dal 1981 al 1992 ho vissuto a Roma, in Umbria fino al 1996. Attualmente risiedo a Napoli.
Le mie commedie, produzioni, pubblicazioni sono, in ordine cronologico:

1) - USCITA DI EMERGENZA, 1979 -
Premio IDI (Istituto Dramma Italiano) e Premio Associazione Nazionale
Critici Italiani. 1981
Rappresentata in Italia nelle stagioni teatrali 1980-81, 1981-82
in Francia (Parigi) nel 1990
in Austria e Germania nel 1993 - 94
in Italia nel 2000 – 2001
in Italia nel 2004-2005-2006
Registrata alla Radio Italiana nel 1982
alla Radio Svizzera nel 1984
alla Radio Francese nel 1988
alla Televisione Italiana nel 1992
Pubblicata in Italia dalla Casa Ed. “La Casa Usher” nel 1982
in Francia dalla Casa Ed. “Theatrales” nel 1989
ripubblicata dalla Casa Ed. “Guida” nel 1999
tradotta in americano e pubblicata da “Xenos Books”, Rieverside, California, nel 2000

2) - L’ISOLA DI SANCHO, 1982 -
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1983-84
Pubblicata in Italia dalla Casa Ed. “Passigli Editore” nel 1984

3) - LE SOFFERENZE D’AMORE, 1984 -
(da un romanzo di Vittorio Imbriani).
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1984-85
Registrata alla radio Italiana, Francese, Olandese, Tedesca, Slava e molti altri paesi europei.
Una rielaborazione radiofonica ha vinto il Premio Speciale della Giuria del Premio Italia , 1985.

4) - REGINA MADRE, 1984 -
Premio IDI (Istituto Dramma Italiano) 1985.
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1985-86
in Francia (Parigi) nel 1987-88
in Austria (Vienna, Linz ecc.) nel 1990-91-92
in Germania (Monaco, Amburgo, Francoforte, Berlino e in tutte le città importanti con diversi allestimenti) nel 1991-92-93
in Svizzera (Zurigo e altre città) nel 1992-93-94
in Olanda (L’Aja, Amsterdam, Harlem e altre città) nel 1993-94
in Polonia (Cracovia, Varsavia) dal 1997 - 1999
in Romania (Bucarest Teatro Nazionale ) dal 1997 al 2003 ed ancora in repertorio
in Russia (Mosca Teatro Majakovskij) 1998 - 2000
in Belgio (Anversa) 1999 - 2000
Registrata alla Radio Italiana nel 1986
alla Televisione Italiana nel 1996
Pubblicata in Italia dalla Casa Ed. “Passigli Editore” nel 1986

5) - BELLAVITA CAROLINA , 1985 -
Premio Taormina Arte 1988
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1987-88
in Francia (Tolosa) da una compagnia di attori della locale università
Pubblicata in Italia dalla Casa Ed. “Guida Editore” nel 1988

6) - IL FUOCO DIVAMPA CON FURORE, 1985 -
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1987-88
Pubblicata in Italia su “Ridotto” nel 1989.

7) - L’ELOGIO DELLA PAURA, antologia di monologhi, 1986 -
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1986-87
Registrata alla Televisione Italiana nel 1986

8) - L’ABERRAZIONE DELLE STELLE FISSE, 1986 -
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1989-90
in Francia (Parigi nel 1993 - Marsiglia 1994 - Alès 1995)
in Italia (Roma) nella stagione teatrale 2004-2005
in Italia alla Versiliana nuova produzione nel 2005
Registrata alla Radio Italiana nel 1992
Pubblicata in Italia dalla Casa Ed. “Ricordi” nel 1987
in Francia dalla Casa Ed. “Theatrales” nel 1989

9) - IL NASO DI FAMIGLIA, 1986 -
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1993-94

10)- PULCINELLA da un’idea di Roberto Rossellini), 1987 -
Premio Taormina Arte 1987
Rappresentata in Italia nelle stagioni teatrali 1987-88 e 1990-91
negli USA (New York, Houston, Los Angeles, San Francisco) in versione italiana nel 1988
in Canada (Toronto) in versione italiana nel 1988
in Francia (Parigi al Teatro Ronde Point nel 1999)
in Spagna (Barcellona - Toledo - Almagro) nel 2000
in Spagna (Palma Di Maiorca) nel 2001
in Germania (Hannover) nel 2001
in Italia nelle stagioni teatrali 2000-2001-2002

11) - DISTURBI DI MEMORIA, 1988 -
Rappresentata in Italia nelle stagioni teatrali 1989-90, 1996-97
in Francia (Parigi) nel 1994
in Italia (Spoleto) nel 2001
in Francia (Avignone) nel 2004
in Francia (Parigi) nel 2005-2006
Attualmente in prova a Parigi, debutterà in un teatro parigino nel gennaio del prossimo anno
Pubblicata in Ridotto 1990 n° 12 pp.11-28

12) - MILLESETTECENTONOVANTANOVE (1799), 1988 -
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1989-90

13) - UN ECCESSO DI ZELO, 1988 -
Rappresentata in Francia (Parigi) nel 1997
in Germania (Aachen) nel 2000

14 - RITRATTI DI DONNE SENZA CORNICI, 1988
tre monologhi femminili
(Virginia e sua zia - La donna del banco dei pegni - Le tre verità di Cesira)
Rappresentata in Italia “La donna del banco dei pegni” nelle stagioni
teatrali 1998-90-91 e nella stagione corrente. Ripresa da un’altra produzione nelle stagioni teatrali 2002-2003-2004-2006
In Italia “Le tre verità di Cesira” nella stagione teatrale 1990 - ripresa nel 2002-2003 ancora in scena
in Francia (Nimes - Toulose - Marseille) nel 2003
in Svizzera (Bellinzona) nel 2003
in Francia (Nizza - Tolone) nel 2004
in Lettonia (Vilnus) nel 2006-
in Russia (San Pietroburgo) nel 2006
Pubblicata in Francia dalla Casa Ed. Auteurs en Scene 2003
“Virginia e sua zia”, rappresentata nella stagione teatrale 1996 - 1997 e vincitrice del premio Girulà per il testo, viene ripreso, in un nuovo allestimento per la stagione 2003-2004
Pubblicata in Italia dalla Casa Ed. “Il Girasole Edizioni” nel 1990

15) - CAMERA CON RACCONTI AFFITTASI, 1989
(liberamente tratta da “ I racconti di Mala Strana di Jan Neruda)
Rappresentata in Italia al Festival di Spoleto nel 1989

16) - CALCEDONIO, 1989 -
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1995-96
In Italia nella stagione teatrale 2005-2006

17) - UNA PICCOLA CONFERENZA NOTTURNA, 1991 -

18) - TANTO PER ANIMARE LA SERATA, 1991 -
Rappresentata in Italia al Festival di Prosa Contemporanea di Asti nel 1992

19) - UNA MANO LAVA L’ALTRA, 1993 -

20) - IL BACIAMANO, 1993 -
Rappresentata in Italia al Festival Internazionale di Veroli nel 1994
in Italia (Roma teatro Quirino) nel 1995
in Italia (Napoli, nel quadro elle manifestazioni per il bicentenario della Repubblica Partenopea, nel cortile del Palazzo Reale) nel 1999
in Italia (Napoli Galleria Toledo) ancora in scena per la stagione 2002 - 2003
in Francia (Parigi) 2001-2002
in Francia (Avignone) 2004

21)- PER DISGRAZIA RICEVUTA,1993 -
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1995-96, ripresa nella stagione 2002-2003 è ancora in scena. Inoltre è stata rappresentata nel Carcere Femminile di Pozzuoli nel 2002, evento fortemente voluto dal Comune di Napoli e dalle strutture Carcerarie

22)- UN ANTOBUS TUTTO SPECIALE, 1996 -
Rappresentata in Italia a Napoli, per le celebrazioni “Natale a Napoli” in un autobus di linea che nel frattempo percorreva le vie della città

23)- FACCHINI, 1997 -
Rappresentata in Germania (Kiel) nella stagione teatrale 2002-03-04 presso il Teatro Municipale
Pubblicata in Francia dalla casa ed. Collection de l’e.c.r.i.t. per conto dell’università di Tolosa che ha svolto anche uno studio sulla tutta produzione

24)- ANDATE ALL’INFERNO, 1997 -
Percorso teatrale nel sottosuolo di Napoli
Rappresentato nell’ambito della manifestazione “Maggio dei monumenti” 1998 nei sotterranei del “ Maschio Angioino”

25)- ORTELIO NON RIESCE A DORMIRE,1992 -
Rappresentata in Italia al Festival di Todi nel 2000

26)- LA FABBRICA DELLE CREATURE, 2000 -
Rappresentata in Italia a Napoli al Teatro Nuovo, nell’ambito della manifestazione “Maggio dei Monumenti” 2000

27)- LA TERZA FACCIA DELLA MEDAGLIA, 2000 -
collage di racconti inediti
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 2000-2001-2002

28)- TU, MUSICA ASSASSINA, 2000 -
Rappresentata in Italia in forma di lettura al Teatro Due di Parma nello stesso anno
Pubblicata in Francia dall’università di Tolosa, in un libro dedicato al teatro napoletano

29)- IL MARCHESE DI ROCCAVERDINA, 2001 -
adattamento teatrale dall’omonimo romanzo di Luigi Capuana
Rappresentata in Italia allo stabile di Catania nella stagione 2001

30)- LE FURBERIE DI SCAPINO, 2001 -
libera traduzione dall’omonimo testo di Molière
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 2001-2002-2003

31)- HAROLD E’ DIVENTATO VERDE, 2001 -
Pubblicata in Italia - Quaderno di Drammaturgia 2002 - Salerno Editore nel 2002 - pp. 86 - 116

32)- IL CHIODO FISSO, 2002 –
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 2003-2004

33) - LA SOLITA CENA, 2003 –
Rappresentata in Italia nella stagione teatrale 2003-2004


b) Cosa l’ ha spinto a scrivere per il teatro? E perché per il teatro e non la narrativa o altro?

La mia origine napoletana, tirata in ballo più volte da una critica frettolosa quanto approssimativa, non può costituire il ‘primo motore’ di una teatralità che io piuttosto definirei caratteriale.
E’ pur vero che sin dall’età di quella che con altrettanta fretta e approssimazione si definisce ragione ho respirato l’aria di una città teatrale per eccellenza – ma io direi per destino; una città che vive come se fosse sempre su un palcoscenico, una città che ad un tempo si rappresenta ed è pubblico di se stessa, quando addirittura non ricopre il ruolo di personale di sala.
Ma la mia origine, che per altro non rinnego (e la migliore testimonianza la offrono i miei testi in dialetto), non è sufficiente a supportare una creatività che attinge la sua migliore linfa da una sbrigliata attività di lettore.
Le letture al mio attivo, infatti, ricoprono un tempo e uno spazio arduo da ‘perimetrare’; ma è stata,
e continua ad essere, proprio la loro estensione a permettermi di acquisire quei molteplici elementi culturali che, introiettati attraverso nozze paritarie o morganatiche, hanno contribuito in misura più o meno determinante alla mia formazione di uomo di lettere.
Ad ogni buon conto, sarebbe oltremodo ingiusto sottovalutare l’apporto fornito a detta formazione dalla lunga militanza all’interno della RAI-TV, e specificatamente nel settore della prosa; militanza che ha rafforzato la mia convinzione non tanto su quel che si dovesse fare, quanto su quello che non si dovesse fare sul versante teatrale.
In merito, poi, alla mia esclusiva notorietà come drammaturgo, la questione si fa più lunga e articolata. Non ritenendo questa la sede più opportuna per una simile questione, mi limito a confessare che ho sempre alternato la stesura di testi per la scena a quella di racconti, brevi o lunghi tanto da raggiungere le dimensioni del romanzo. Se questi ultimi non hanno ancora visto la luce dipende dalla persistenza, golosa esclusività del nostro paese, di un pregiudizio in base al quale sia gli intellettuali sistematici che le case editrici hanno innalzato steccati, se non proprio fili spinati, fra le due suddette attività, infliggendo al drammaturgo, non saprei quanto in buona fede, il ruolo di parente povero del narratore, salvo poi ad invidiarne le capacità. Per mia buona sorte, è prossima l’uscita di una raccolta di racconti, dal titolo “Racconti Mancini”, a cura della casa editrice diretta da Mario Guida, il quale con la sua sensibilità, unita al vezzo di guardare oltre ogni steccato pseudoculturale, potrà dimostrare se la pregiudiziale discriminazione fra teatro e narrativa sia giustificata o meno.


c)Quali sono gli autori teatrali più amati e perché?

Non nascondo la mia ferma convinzione che le opere teatrali andrebbero distinte non tanto per autori quanto per la loro oggettiva qualità: in poche parole, fra buon teatro e cattivo teatro.
E tuttavia non ho difficoltà ad indicare in Pinter, Beckett, Bernard e Mrozek i miei autori preferiti.
Le ragioni sono tante quanto gli autori citati. Da ognuno di loro ho appreso tutto quello che poteva arricchire la mia aurorale attività professionale.
Per citarne qualcuna, dirò che in primo luogo mi ha sedotto la loro condizione di autori contemporanei, ovvero la loro capacità di essere ben piantati nella realtà, di esprimere ansie e turbamenti di cui il nostro tempo, senza lesinare sui più agghiaccianti particolari, ci fa sgradito dono; il tutto attraverso un processo di ingrandimento, l’uso del paradosso ai fini di una combinazione alchemica tra moventi tragici e risultati comici che, opportunamente mescolati, danno vita al grottesco.
Se poi dovessi esprimere una preferenza questa andrebbe a Pinter per la sua capacità pressoché inarrivabile di trasformarsi in freddo osservatore dei guasti provocati dalla famiglia come dalla società, senza per questo ricorrere ad un genere di teatro terroristico, che considera lo spettatore
alla stregua di una vittima da sottoporre a tortura; miracolo espressivo da attribuire alla ininterrotta ironia che serpeggia nei suoi drammi, magari in forma di sottotesto.

d)Quali sono i Suoi testi che più ama e perché?

Ogni autore, a mio avviso, predilige nel novero delle sue creature l’ultima nata. Ma è difficile escludere dalla propria sfera affettiva le opere in cui si è più riconosciuto. Pertanto, sollecitato ad indicare le commedie che preferisco, di getto tiro in gioco “Uscita di Emergenza”, “Regina madre”, “Disturbi di memoria” e “Il Baciamano.
“Uscita di Emergenza” occupa un posto speciale nel mio cuore perché è stata la prima opera che mi ha segnalato agli occhi della critica come del pubblico.
“Regina madre” mi è cara perché rappresenta una sorta di discesa agli Inferi, qual è il rapporto madre-figlio, che mi ha provocato una vera e propria emorragia emozionale.
“Disturbi di memoria” la considero la più ‘compiuta’ delle mie opere in quanto, sempre a mio avviso, nel gioco al massacro che ne costituisce il senso primo e ultimo non c’è una sola battuta di troppo.
“Il Baciamano”, nella sua essenzialità, mi sembra particolarmente espressiva di un determinato periodo storico, quale la Repubblica Partenopea del 1799, seppure attraverso l’incontro-scontro di due soli personaggi.


e) Cosa si propone di realizzare nel Suo futuro?

Quanto al futuro, intendo continuare a fare quello che ho fatto finora, ovvero scrivere le commedie che vorrei vedere e le storie che vorrei leggere.


Nel ringraziare Manlio Santarelli per aver gentilmente concesso al www.gttempo.it questa intervista, ricordiamo che : “ Uscita di Emergenza” fu interpretato da Luca De Filippo e ” Regina Madre” da Isa Danieli.

Altre informazioni su Santarelli sui motori di ricerca e sul sito: www.manliosantanelli.it

Manlio Santanelli

Luigi LUNARI
a cura di Pasquale Calvino

​

Abbiamo chiesto a Luigi Lunari (Milano 1934), uno dei pochi grandi autori teatrali viventi che sotto l’ involucro
della commedia brillante mostri un gustosissimo sapore satirico, corrosivo, ironico, sarcastico :
 

1) Dr Lunari vuole essere così gentile da farci conoscere un poco la Sua vita e i Suoi interessi culturali?

Vita normalissima, medio-borghese, scandita in modo banale: laurea a ventidue anni, matrimonio a ventisette, primo figlio tre anni dopo, dopo altri tre il secondo, nonno a sessant’anni. In complesso, nulla da segnalare.
Vita professionale: attento soprattutto a non avere un rapporto troppo stretto con qualcosa o con qualcuno, in modo da potere – all’occorrenza – andarmene sbattendo magari la porta. Cosa che mi è successo con il giornalismo, con la politica, con l’università, con il Piccolo Teatro. E’ una condizione di indipendenza che comunque ha un suo prezzo abbastanza pesante. Oggi, per esempio, sono un uomo libero, ma non sono nessuno.
Interessi: molti, e da sempre. Storia, politica, musica, sport, lingue, letteratura, scienze (ovviamente a livello divulgativo)… Ah sì: anche teatro.


2) Può elencarci le Sue commedie con una breve sinossi?

Bah, ho avuto i primi successi con le commedie per i Gufi (“Non so, non ho visto, se c’ero dormivo” e “Non spingete, scappiamo anche noi”), ho avuto un vero e proprio lancio internazionale nel 1994, con “Tre sull’altalena”, oggi tradotta in ventitre lingue e correntemente rappresentata in tutto il mondo. Opere di maggior successo: “Nel nome del Padre”, “Il senatore Fox”, “Sotto un ponte, lungo un fiume…” Nessuna delle mie opere è simile ad altra mia: perlomeno in superficie. Cerco di non ripetermi, di non “copiarmi”, di non sfruttare la formula o i contenuti di un testo che abbia avuto successo. Scrivo solo quando ho una “buona idea”, e quindi scrivo poco. Una nota comune a molte mie opere è la presenza – serena, pacifica, quasi ilare – della morte. Considero la morte un vero punto d’arrivo di ogni vicenda, molto di più del “..e vissero felici e contenti”, con cui si chiude il 90 per cento della drammaturgia di tutti i tempi. La commedia che più amo tra le mie è forse “Sogni proibiti di una fanciulla in fiore”, forse perché sta ancora aspettando un successo.


3) Quali sono gli autori teatrali italiani che più ammira?

Suppongo che la domanda riguardi i contemporanei. Rispondo: Enzo Moscato, che ha davvero un mondo suo e inimitabile da raccontare; Vittorio Franceschi, che però si dedica alla scrittura con poca costanza; Alfredo Balducci e Alessandro Bajini, vittime dell’esterofilia che si è abbattuta nel dopoguerra su un’intera generazione di autori; Giuseppe Manfridi, che temo però si stia perdendo per strada; Rocco d’Onghia per la coerenza della ricerca. E naturalmente Dario Fo - malgrado il fluviale, tsunamitico disordine della sua scrittura drammaturgica - se non altro per due capolavori assoluti: “Mistero buffo” e “La signora è da buttare”.


4) E tra gli stranieri?

Arthur Miller (scomparso da poco), per qualità ed impegno forse il più grande del novecento (assieme a Pirandello e a Brecht, che però supera: il primo per un più fattivo valore in lato senso “politico”, il secondo per un miglior recupero della “tradizione”); poi Tom Stoppard, Arnold Wesker e Harold Pinter (più Wesker che Pinter). Ho qualche dubbio su Eric-Emmanuel Schimitt, cui nuoce forse la facilità dei successi; e molti dubbi su Alan Ayckburn, per le stessa ragioni moltiplicate per dieci. Nutro una decisa indifferenza per il teatro di Neil Simon, del quale peraltro invidio cordialmente i diritti d’autore. E odio decisamente le farse di Ray Cooney (anche qui sempre invidiandone i redditi), pur ammettendo che il mio odio non va a lui (che ovviamente fa quel che sa e vuole fare) ma soprattutto al teatro italiano che gli dà tanto spazio. Diffido profondamente del teatro di David Mahmet, dove mi sono arrestato di fronte a questa sua battuta-sentenza che mi ha fatto sentire intellettualmente inadeguato: “In treno tutti gli scompartimenti hanno un certo odore di merda”. Poi ci sono gli autori che non capisco, come ad esempio Botho Strass. Come si vede, quasi tutti autori anglosassoni, poche essendo le informazioni sul resto. Anch’io evidentemente pago “l’imperialismo culturale” anglo-americano, peraltro a tutt’oggi inevitabile.


5) Perché attualmente sembra che si dia minore importanza al testo teatrale letterario?

Se si intende una minore importanza relativamente alla narrativa e alla saggistica, direi che è sempre stato così. Ragioni radicate nel passato, e complicate da spiegare: di fatto, non c’è che da constatare che il lettore non ama la disposizione grafica del dialogo. Cito spesso come esempio una pagina dei Promessi Sposi, per la quale basterebbe modificare graficamente la disposizione della parole per farne una vivacissima pagina teatrale: che però il pubblico non preferirebbe, Eccola:

PERPETUA - Misericordia!, cos’ha, signor padrone?
DON ABBONDIO (lasciandosi andare tutto ansante sul suo seggiolone) - Niente, niente.
PERPETUA - Come, niente? La vuol dare ad intendere a me? così brutto com’é? Qualche gran caso è avvenuto.
DON ABBONDIO - Oh, per amor dei cielo! Quando dico niente, o è niente, o è cosa che non posso dire.
PERPETUA - Che non può dire neppure a me? Chi si prenderà cura della sua salute? Chi le darà un parere?...
DON ABBONDIO - Ohimè! tacete, e non apparecchiate altro: datemi un bicchiere del mio vino.
PERPETUA (empiendo il bicchiere, e tenendolo poi in mano, come se non volesse darlo che in premio della confidenza che si faceva tanto aspettare) - E lei mi vorrà sostenere che non ha niente!...
Ecc. Ecc.


6) Di cosa si sta occupando?

Come uomo, dei miei nipotini. Come scrittore, di un tema che mi affascina da molti anni, ma per il quale non ho trovato una forma (drammaturgica o narrativa che sia) del tutto rispondente. Il tema è l’ateismo. Trovo urgente divulgare l’idea che Dio non esiste, che è l’uomo che lo ha creato a propria immagine e somiglianza, e che quando Benedetto XVI e Osama Bin Laden dicono di agire in suo nome e per suo indiscutibile e imperscrutabile ordine, dicono delle pericolose sciocchezze. Punto e a capo. A questo proposito, tengo a definirmi ateo ma molto religioso. L’eventuale spiegazione del tutto, a un’altra intervista.


7) Cosa potrebbe consigliare a una persona che volesse scrivere un copione teatrale?

Di leggere, informarsi, studiare. Tra i giovani drammaturghi noto sempre (o quasi sempre: non voglio generalizzare!) una grande, sesquipedale, megagalattica ignoranza! E’ spesso evidente che non hanno letto un czz! Non hanno letto i classici greci, le laudi medievali, la commedia del Rinascimento, del Siglo de Oro, degli elisabettiani, del secolo di Re Sole e di Molière-Corneille-Racine, del romanticismo tedesco, del settecento e ottocento borghese, di Cechov e Brecht, del teatro dell’assurdo, eccetera eccetera. Io ho letto tutto quello che il tempo mi rendeva possibile: e saprei scrivere una scena à la manière de Goldoni, Shakespeare, Cechov, Ionesco… Non vedo i giovani drammaturghi su questa strada. Quindi, il consiglio è anzitutto quello di “imparare il passato”. Poi… direi che non c’è bisogno d’altri consigli. Un’idea deve calarsi in una forma drammaturgica per la quale il passato è ricchissimo di consigli e di indicazioni. Come si comincia un atto? Come si colloca una battuta? Come si introduce un personaggio? Come si conclude una scena? Se uno conosce il passato, vi trova mille suggerimenti per risolvere un qualsiasi problema strutturale, contenutistico, di linguaggio e via dicendo. Se poi ha qualcosa di veramente nuovo da dire (sul piano tecnico o altro), la conoscenza del passato gli sarà di utile piedistallo per innovare, inventare, creare qualcosa di altrettanto nuovo.,


8) Se si potesse tornare indietro rifarebbe tutto ciò che ha fatto?

Tutto sommato (sottolineo: tutto sommato), direi di sì. Non perché io non abbia fatto errori e perchè non mi piacerebbe aver colto altre occasioni, ma perché penso che ognuno fa la vita che sceglie di fare. Per esempio: mi piacerebbe aver coltivato di più i rapporti politici e mondani: aver frequentato segreterie e salotti, essere anch’io come altri che oggi sono mediaticamente “in” (e che magari non mi valgono)… Ma poi penso queste cure mi avrebbero distratto da una certa mia linea di condotta che ho perseguito con totale coerenza e incorruttibilità. Pagando naturalmente un alto prezzo in termini di successo mondano, di peso mediatico-politico, di fortuna economica, e via dicendo. Inutile dunque porsi problemi: ho fatto quel che ho voluto, quello che era nelle mie corde e nelle mie ambizioni, dato che anch’io – come tutti – sono stato creato a mia immagine e somiglianza.


9) Si parla spesso della Sua stupenda produzione di testi e del Suo particolare carattere; Le piacerebbe avere un diverso carattere?

Grazie per la “stupenda produzione”. Comunque, credo di aver già risposto a questa domanda nella risposta alla domanda precedente.

Luigi Lunari

Antonio MAGLIULO
a cura di Pasquale Calvino Giordano

​

Per il sito teatrale www.gttempo.it intervistiamo il prof. Antonio Magliulo, autore di notevole interesse e apprezzato regista teatrale nonché libero docente di Storia del Teatro all’Unitre di Napoli.
Ricordiamo tra i suoi libri: Corso di Teatro-Rocco Curto Editore- e Invito a teatro -Liguori Editore, che non dovrebbero mancare tra i libri di studio dei giovani interessati e dei teatranti tutti. Per altre notizie su questa esemplare figura di scrittore, teatrofilo, insegnante, pedagogo… rimandiamo ai siti: www.gttempo.it sezione autori e www.antoniomagliulo.altervista.org  

1- Lei ha definito il teatro di Eduardo “insuperabile”. Per quali motivi?

Ho definito Eduardo così perché ha rivitalizzato la maschera di Pulcinella, attribuendole le sembianze dell’uomo comune, l'ha privata del suo connotato arcaico, cioè il camuffamento, per restituirla alla verità del volto nudo, carnale e sofferto.
Eduardo è riuscito a coniugare, in una difficile e straordinaria sintesi, alcuni motivi della filosofia pirandelliana (inquietudine ed
incomunicabilità) con le tematiche della propria drammaturgia (illusioni, ingiustizie, valori perduti). Naturalmente, lo ha fatto a modo suo e cioè in forma umoristica, per ricordarci che la comicità è l'altra faccia del dramma.
Pirandello scompone la realtà, rende universale il problema della parola, elevandolo a filosofia, ma rimane però in ambito teorico ed un po' astratto.
Anche Eduardo si sofferma sull'incomunicabilità e sulle disillusioni umane, ma le rappresenta concretamente, in un personaggio preciso e nel disagio che lo contraddistingue. L'autore partenopeo ambienta le sue storie al Sud, ma non allude mai alla cosiddetta "napoletanità", sfruttando così dei facili cliché, per altro abusati e discutibili.
I suoi personaggi sono sempre vivi, palpitanti, "complessi" e rappresentano istanze comuni a tutto il genere umano.
Eduardo è un artista completo perché ha saputo compendiare doti di autore, attore e regista ed ha impresso al teatro una svolta verso il realismo sociale, adeguandolo alla nuova realtà del XXI secolo.
Secondo lui gli attori non devono recitare, ma identificarsi totalmente nella parte, in modo da apparire spontanei, naturali e
convincenti.
L'autore ha compreso il dramma del proprio secolo, lo ha denunciato con forza, ma ha preferito usare un linguaggio lineare, di agevole lettura, ma non per questo meno efficace, pregnante e universale.
Il valore di un artista non consiste soltanto nell'invenzione di nuove forme espressive, quanto nella capacità di dire cose vere,
"profetiche" e farsi comprendere da tutti.

2- Ritiene che Eduardo abbia imitato Pirandello?

Ne ha subito sicuramente il carisma. D’altra parte, come poteva sottrarsi all’ascendente di un grande intellettuale, conosciuto e frequentato per diverso tempo! Come ho detto, Eduardo ha ripreso taluni concetti pirandelliani, ma li ha calati nella realtà effettuale, li ha utilizzati cioè per descrivere determinati comportamenti umani.
Ad esempio, in opere come: Natale in casa Cupiello e Le voci di dentro, l’artista partenopeo tratta proprio il tema
dell’incomunicabilità, tanto caro al collega siciliano.
Eduardo mette in scena i sentimenti, si duole per i difetti umani e (seppur tacitamente) vorrebbe spronare la società a recuperare i valori fondamentali della vita: solidarietà, giustizia, coerenza, etc.
Pirandello invece coglie le contraddizioni della società e le descrive con efficacia e corrosività, ma poi si ferma lì; non cerca una soluzione od un riscatto; non si pone l'obiettivo di un cambiamento, vede la negazione della ragione e del buon senso ed anticipa, nelle sue opere, le stesse situazioni che in seguito Beckett e Ionesco porteranno alle estreme conseguenze.

3- Cosa pensa della nuova drammaturgia napoletana (Ruccello, Moscato, Santanelli…)?

Si tratta di autori validi, molto creativi, le cui opere sono riuscite a valicare i confini regionali, per assumere una dimensione nazionale, grazie alla qualità di interpretare i tempi. Gli argomenti delle commedie, infatti, sono tutti di una certa attualità.
L’innovazione introdotta da Ruccello, Moscato e Santanelli riguarda prevalentemente le trasformazioni culturali, artistiche, politiche e sociali verificatesi negli anni ‘60 e ’70.
Tali trasformazioni hanno orientato sicuramente i contenuti della nuova drammaturgia, attestandola sul versante dell' impegno sociale e civile.
D'altra parte, era impensabile che dopo il movimento sessantottino, la liberazione femminile e la rivoluzione del costume, il teatro napoletano rimanesse uguale a se stesso, senza subire un cambiamento nei contenuti e nel linguaggio.

4- Le piace il teatro di Samy Fayad e perché?

E' un autore conosciuto, stimato, che predilige il genere comico-brillante. Fayad ha ottenuto sinora buoni riscontri da parte del pubblico, ma forse non da parte della critica, almeno non quelli che avrebbe meritato.
Viene ritenuto un valido autore della commedia d’intreccio ed ha un'indubbia vena creativa, specialmente per le storie d'atmosfera meridionale.

5- Luci ed eventuali ombre dei copioni teatrali di Vincenzo Salemme ?

E' l' artista campano più celebrato del momento, gode di grande popolarità, non solo grazie al teatro, ma anche grazie a diverse trasmissioni televisive ed ad una serie di film d'evasione.
Come autore, ha scritto delle commedie discrete, per la verità, un po' lontane dai miei gusti.
Fra tutte comunque preferisco: E fuori nevica, un'opera che fa sorridere ma pure riflettere.
Come attore, è naturale, spontaneo e convincente. Ha grande padronanza del palcoscenico e si circonda di bravi interpreti: Casagrande, Buccirosso, Paone, etc.

6- Lei ha affermato di scrivere commedie in cui tutti sono protagonisti... ciò da una parte è sicuramente un pregio, dall’ altra potrebbe creare problemi perché, per fare ciò, bisognerebbe avere attori tutti di ottimo livello, cosa, in genere, non facile. Come risolve il problema nelle Sue regie?

Rendere tutti protagonisti è facile, basta scrivere una commedia e non un monologo!
Oggi vanno di moda i recital, in cui un attore si presenta da solo in palcoscenico e ci resta due ore! Per quanto bravo, rischia di stancare!
Io non credo che a teatro debba esibirsi solo il mattatore, l'asso pigliatutto e gli altri attori debbano fare da tappezzeria.
Pur col rispetto dovuto a coloro che reggono la scena da soli, io non amo i recital. Credo invece nel "teatro d'insieme" e perciò ho imparato a scrivere un ruolo "dignitoso" per ciascun personaggio, sicché nei miei spettacoli nessun attore fa la comparsa, ma può interagire con i compagni e sentirsi gratificato.
Recitare è un'azione corale ed è piacevole vedere sulla scena tante situazioni e tanti personaggi.
E' evidente che in casi del genere il regista deve lavorare di più per ridurre il divario fra un interprete e l'altro, ma posso
assicurarle che il gioco vale la candela e il risultato finale, sia scenico che umano, è davvero esaltante.

7- Lei ha curato la regia di testi di Eduardo, Pirandello, Ionesco, Beckett, Shakespeare ....Come si è posto e si pone il problema “fedeltà al testo letterario”?- Ritiene che bisogna essere sempre fedeli al testo?

Credo anche nel teatro d'autore. Naturalmente, prima di me, ci han creduto i grandi: Shakespeare, Moliere, Goldoni, etc, perciò ritengo che si debba essere sempre fedeli al testo; diversamente si tradisce
l'idea di chi ha creato l'opera.
Il merito principale di un successo deve andare all'autore, perché senza la sua idea non vi sarebbe alcuna messinscena e, di conseguenza, alcun successo!
Ecco perché disapprovo che alcuni artisti si divertano a stravolgere e "seviziare" i testi altrui, sostenendo che il vero autore è chi monta lo spettacolo, cioè il regista.
Mi sembra una forma di presunzione inammissibile, perché il regista ha un compito importante, quello di trasporre il testo e ottimizzatore l'opera, ma non può arrogarsi meriti che non ha.

8- Lei ha realizzato cose molte belle come regista, autore teatrale e scrittore di narrativa…
Cos’ altro vorrebbe realizzare nel suo futuro?

Mi piacerebbe realizzare un film. Ho scritto tre commedie che, a mio avviso, si presterebbero a diventare dei lungometraggi.
Naturalmente, sarei contento pure che fosse un regista cinematografico a girare il film. Ne abbiamo tanti in Italia e alcuni sono molto capaci. Io non potrei mai competere con loro, conosco un po' di sintassi cinematografica, ma non ho grande esperienza con la macchina da presa e con i trucchi propri del mestiere.

9- Le potrebbe interessare scrivere a quattro mani?

Perché no! Se si stabilisse la giusta empatia col co-autore, potremmo pure tentare di scrivere una commedia o un soggetto insieme.

10- Perché preferisce il “genere comico” ?

Per due motivi: il primo, amo molto ridere e penso pure che divertire sia una un atto di altruismo, una sorta di missione.
Petito, Scarpetta, Eduardo, Peppino, Totò, etc dovrebbero far parte di un albo speciale, quello degli artisti benefattori dell'umanità!
Il secondo motivo è che gli attori della mia compagnia sanno far meglio i comici e pertanto "snobbano" un po' i testi più impegnati, ma a me piacerebbe portare sulla scena anche quelli, cosa che ho fatto in passato con i copioni scritti da me, ottenendo per altro delle belle soddisfazioni.

11- Quali sono i Suoi lavori a cui maggiormente tiene e perché?

Tengo a tutti i lavori, sono il frutto di un notevole impegno e li considero figli miei. E i figli, come insegna Eduardo, sono tutti uguali!

12- Cosa consiglierebbe a un giovane scrittore di teatro?

Di leggere tanto, di andare a teatro, formarsi prima un'idea della drammaturgia esistente e poi cominciare a creare di proprio pugno, possibilmente senza imitare nessuno.
Bisogna guardarsi intorno e stare attenti alle cose che capitano e registrarle in un taccuino. Il mondo è una miniera inesauribile di idee. Bisogna imparare ad osservarlo.
A volte ci sono persone che avrebbero tanto da dire, ma non scrivono perché si bloccano dinanzi al foglio bianco. Io sono convinto che un foglio vuoto è fatto apposta per essere "imbrattato".
La prima e la seconda volta si prova poi, se non si è contenti, si cestina tutto, ma la terza volta va meglio e da quel momento non si smette più. Scrivere è come una droga, la più inebriante e salutare che ci sia!

13- E cosa consiglia ai giovani che vogliono diventare attori di professione ?

Di tentare l'impresa, ma avendo chiare le difficoltà che la scelta comporta. Meglio se chi decide di dedicarsi al teatro ha anche un lavoretto indipendente o un gruzzoletto da parte, che gli assicurino la sopravvivenza nei momenti di magra. A differenza del cinema, il teatro ha tempi lunghi prima di elargire notorietà e successo. Inoltre, è molto più povero del cinema. Difficile trovare un attore di prosa che si sia arricchito. Ricordo, a tal proposito, che Salvo Randone, uno degli artisti più grandi che siano mai esistiti, è morto nell'indigenza!
Per quanto riguarda il tirocinio, non c’è bisogno di conseguire necessariamente il "pezzo di carta"; si può fare anche senza, a patto di "mangiare pane e teatro" per un congruo periodo di tempo. Tanti hanno cominciato così. Eduardo, Pupella, Peppino e Totò non hanno frequentato alcuna scuola, ma sono diventati ugualmente dei grandi interpreti, fra i più apprezzati nella storia dello spettacolo. A volte, le doti naturali e la pratica valgono più della teoria. Con ciò non voglio dire che le scuole teatrali siano inutili. I tempi sono cambiati e le scuole sono diventate necessarie, specialmente quelle che offrono una preparazione adeguata e completa. Oggi, un attore che si rispetti, oltre a recitare, deve saper cantare, ballare, saltare, tirare di scherma, etc.

14- Come si rapporta con il concetto di “ tradizione e quello di rinnovamento teatrale” ?

Con il buon senso. Si può innovare senza ripudiare o stravolgere; oppure, si può innovare abiurando in tutto e per tutto il passato. Quest'ultima sembra una scelta ricorrente presso le nuove generazioni di teatranti. Ma con quali risultati? Diciamo la verità: quanta gente segue le avanguardie, quante persone acquistano il biglietto per andare a vedere uno "spettacolo d'essai ", ovvero un puro esperimento?
Poca, molto poca! Naturalmente, in ogni campo, compreso quello teatrale, dev'esserci qualcuno che studi nuove formule e sperimenti linguaggi alternativi, qualcuno insomma che faccia l'avanguardia.
Quelle dell'avanguardia artistica sono realtà importanti, che meritano rispetto, perché non sono mosse da interessi venali e possono fornire preziose indicazioni sui gusti e le tendenze future. E' sbagliato però che, in certi casi, le avanguardie trattino con sussiego il teatro tradizionale, giudicandolo una forma artistica infima e deteriore. E' un atto di snobismo intellettuale
inaccettabile e persino puerile.

15- Lei è considerato da molti l’erede artistico di Scarpetta…ma Scarpetta prendeva quasi sempre spunto da Feydeau, Labiche, Hennequin, Bisson… chi o cosa determina l’ input per le Sue comicissime commedie?

Sembrerò presuntuoso, ma voglio dirlo subito: io, quando scrivo, non prendo spunto da nessuno. Sono partito - è vero - da ambientazioni e atmosfere scarpettiane, che trovo "ariose" e particolarmente adatte al gusto partenopeo, ma i miei testi sono frutto di idee personali, originali e inedite.
Un'analogia col maestro del buonumore può ritrovarsi nella scelta di "riprendere" a volte la divertente maschera di Tartaglia (o Raganelli) e di inserire una figura fissa nei miei testi, una figura che mi accompagna da quando ho cominciato a scrivere: "Carluccio", una sorta di maschera dei nostri tempi, un personaggio a metà fra Sciosciammocca e Pulcinella.
Comunque, nel creare le mie opere, sia comiche che impegnate, prendo spunto dalla vita di tutti i giorni. Come ho detto, la realtà quotidiana è una miniera inesauribile di idee.
Ad esempio, una volta, in una trasmissione televisiva, vidi una coppia di sposi prossima al divorzio, perché lui era un fanatico del lotto e stava portando la famiglia alla rovina.
Così, mi venne in mente di scrivere "Una visita di riguardo", una commedia comica in tre atti, dove c'è una signora che si esprime esclusivamente coi numeri, secondo la cabala, e pur di giocare al lotto, si vende tutto, persino la casa!

16- Quali sono gli autori teatrali, oltre i citati, che Lei più stima?

Oltre a Petito, Scarpetta, Eduardo e Pirandello, amo Plauto, Shakespeare, Moliere e Goldoni.

17- Perché ha chiamato il Suo gruppo teatrale “ Maschere Nude”, omaggiando Pirandello e non Eduardo o Scarpetta, ai quali, forse, è più vicino?

Il fatto è che a battezzare così il mio gruppo teatrale non sono stato io, ma alcuni attori esordienti, grandi appassionati di Pirandello, che mi ingaggiarono come loro regista.
Era il 1978 quando nacquero le Maschere Nude, gruppo formato da giovani liceali molto in gamba: Amedeo Villani, Paolo Sommaiolo, Elvira Montearchio, Aldo, Angela ed Imma Villa, etc.
Nel tempo la compagnia ha subito dei rimaneggiamenti. Si sono succeduti vari attori di talento: Ciro Zangaro, Enzo Morra, Amalia Mennillo, Ornella De Maria e Manuela d'Andrea, sino ad arrivare all'attuale gruppo, formato da Fulvia Oliva, una splendida artista, Umberto del Cuoco, Renato Paternesi, Antonio Bessarione e Roberta Grasso, tutti elementi
di grande valore.
Preziosi pure i contributi dei più giovani: Elisa Prisco, Monica Telesca, Alessandro Paternesi, Gianluca Notariale e Daniela
Calabrese, che recitano in modo spontaneo e credibile.

18- Ritiene che il teatro possa avere una funzione pedagogica, terapeutica…?

Senza alcun dubbio. Ho definito il teatro: una forma di terapia dell'esistenza. Non è una frase retorica o ad effetto, ma il risultato di tantissimi anni di esperienza, durante i quali ho visto persone in difficoltà accostarsi alle scene e rigenerarsi, ritrovare la voglia di vivere!
Prima di entrare in compagnia erano demotivate, annoiate, depresse, e poi, giorno dopo giorno, hanno ritrovato il sorriso.
Il teatro aiuta concretamente a superare la timidezza e a liberarsi di certi impacci temperamentali. Tanti sono i giovani studenti che, grazie alla recitazione, hanno vinto la paura degli esami.
Naturalmente, la funzione primaria del teatro è quella culturale ed artistica, ma quella terapeutica non è da sottovalutare. Penso che il teatro, come altre forme d'arte, sia più efficace degli psicofarmaci.

19- Ho visto un suo spettacolo molto interessante e divertente :” Tutto esaurito, successo assicurato” e vorrei sapere: “Come considera le scenografie nulle o essenziali e quelle molto realistiche?”

Le scenografie sono la parte visiva e spettacolare di una commedia e pertanto sono importantissime. Mi piacciono tutte, barocche o attuali che siano; apprezzo pure quelle minimaliste, a patto che non siano ridotte all'osso, privando totalmente lo spettatore degli elementi scenici vitali per l'ambientazione della vicenda.
Lo spettacolo a cui Lei allude: Tutto esaurito, successo assicurato è una storia di teatro nel teatro e l'azione dei primi due atti si svolge su un palcoscenico spoglio.
Nel terzo atto invece appare uno scenario adatto alla bisogna e, grazie anche alla presenza dei costumi, tutto diventa più colorato, vivace e "accattivante".
Se dovessi dire quale "ingrediente" trovo più importante fra recitazione e scenografia, opterei senz'altro per la prima, perché la scena, volendo, si può pure immaginare, ma un attore che non sa recitare mortifica, se non uccide addirittura, lo spettacolo.

20- Vuole parlarci della Sua biografia e/o aggiungere qualcos’ altro per chiarire ancora meglio la Sua personalità di artista e teatrante?

La mia biografia è reperibile nei libri e sulla "rete". Quel che mi preme aggiungere a quanto è già stato scritto su di me è che mi ritengo un uomo fortunato. Sono nato, è vero, in una famiglia di modeste condizioni economiche, ma i miei genitori avevano una dote importante: l'onestà. E me l'hanno trasmessa. Mi hanno insegnato pure il gusto per l'arte ed i valori fondamentali della vita, fra cui il rispetto per gli altri. Ed io ho imparato a vivere con questi valori, muovendomi in punta di piedi per non disturbare il prossimo.
Forse, questa, è una forma di educazione sbagliata o almeno non troppo pratica. In un mondo - e non mi riferisco solamente a Napoli - dove bisogna spingere e sgomitare per farsi strada, le doti che ho citato sembrano anacronistiche, diciamo pure "risibili".
Ma a me sta bene così e, se potessi tornare indietro, farei esattamente ciò che ho fatto, senza cambiare una virgola e senza scendere a patti con nessuno.
Risposerei la donna che mi sta accanto, una donna sensibile e intelligente, alla quale devo tutto, una donna che mi ha dato due figli, ragazzi premurosi e con la testa sulle spalle.
Naturalmente, anch'io ho delle insoddisfazioni. A volte mi lamento perché non ho la notorietà e gli agi di altri colleghi più bravi o più fortunati di me. Ma poi mi guardo intorno, vedo che il mondo è ben più vasto del mio "orticello" ed ha tante contraddizioni, tante sofferenze; così le mie aspirazioni finiscono col perdere importanza. E mi accontento di quello che ho.

Penso che queste risposte contribuiscano a chiarire molto bene una personalità di spicco nel teatro napoletano degli ultimi decenni e pertanto ringrazio il professor Antonio Magliulo per avermi voluto gentilmente concedere questa intervista.

Antonio Magliulo
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